Una nave commerciale greca carica di mercanzie proveniente da Siracusa, verso la fine del VI secolo a.C., era in procinto di arrivare sulla costa di Gela, passaggio obbligato per tutto il commercio navale del Mar Mediterraneo, quando un fortunale la colse a poca distanza dall’Emporio. Si narra che l’imbarcazione venne sballottata tra i flutti minacciosi e la corrente impetuosa del mare, trovandosi in grave difficoltà; l’equipaggio ammaina la vela per diminuire la resistenza al vento, ma nonostante ciò la nave, già ingovernabile, comincia ad imbarcare acqua. Venne gettato in mare il carico più pesante per alleggerire l’imbarcazione e mentre si procedeva a questa operazione, per salvare la vita dei marinai, ad un tratto uno schianto fa reclinare la barca su un lato: la zavorra ha prodotto un grosso squarcio nella fiancata, la nave affonda velocemente e sparisce tra i flutti spumeggianti. Il naufragio non segnò la fine della nave greca di Gela. Il ritrovamento del relitto avviene dopo 26 secoli, alla fine del 1988 ad opera di due sub, Gino Morteo di Gela e Giovanni Occhipinti di Ragusa, i quali consegnarono al Museo di Gela quattro piccoli altari in terracotta, detti arule fittili. Sono di forma rettangolare, decorati da una fascia centrale di palmette e fiori dipinti in bianco e in rosso, da una fascio di ovuli che invece indicano l’estremo del coronamento, e infine da una fascia continua decorata con onde alla base. Insieme a questi reperti furono consegnati anche un tripode bronzeo, caratterizzato dalla presenza di un anello sostenuto da zampe leonine e due frammenti di una coppa a figure nere, e grazie al recupero di altre porzioni durante lo scavo è stato possibile ricostruire la scena figurata con una figura maschile ammantata che cammina con passo solenne e un cavaliere al galoppo nell’atto di volgere la testa indietro.
Fonte: Rosalba Panvini